A scene from Gillo Pontecorvo's THE BATTLE OF ALGIERS (1965)

A scene from Gillo Pontecorvo’s THE BATTLE OF ALGIERS (1965) di animalito_baby, su Flickr”

In attesa di assistere domani all’ennesimo venerdì della collera (vuoi il film oltraggioso della figura del Profeta Maometto, vuoi le vignette francesi ogni motivo è buono per rinfocolare l’odio contro l’Occidente), non si può non evidenziare un dato che mi sembra sia stato del tutto trascurato nei resoconti degli ultimi giorni: la funzione militare svolta dal “popolo”.
Chiarisco meglio: nel mondo Occidentale degli Stati-nazione prima e nazionalisti poi il popolo ha sempre, in un modo o nell’altro (vuoi con la leva obbligatoria, vuoi con il lavoro nelle fabbriche), contribuito allo sforzo bellico della Patria; dopo la II Guerra Mondiale al contrario si è assistito ad una graduale decrescita (con una netta accelerazione del processo con la fine della Guerra Fredda) degli organici delle varie Forze Armate che è culminata con l’abolizione pressoché generalizzata del servizio di leva ed il contestuale passaggio ad un esercito di professionisti.
Nel mondo arabo (ma se vogliamo anche in quello islamico tout court) invece la concezione di guerra “popolare” è rimasta sempre ben presente: dalla battaglia di Algeri alla prima e seconda Intifada le masse hanno svolto un ruolo principale ancorché militarmente non decisivo.
Tenendo presente questa tradizione non deve sorprendere dunque che anche nelle rivolte della cosiddetta Primavera Araba il popolo abbia ricoperto un ruolo rilevante: i fatti di Bengasi (con l’assalto al consolato statunitense e la morte dell’ambasciatore Chris Stevens) e tutte le altre azioni di protesta che si sono quasi contemporaneamente verificate in gran parte del mondo arabo – islamico sono accomunati per l’appunto da questo elemento al quale, però, a mio avviso se ne aggiunge un altro non meno significativo. Mi riferisco alla funzione di coagulatore / detonatore svolto dai vari gruppi di estremisti islamici che per comodità possiamo qui etichettare come “affiliati” ad Al Qaeda: solo qualche anno fa le proteste davanti alle ambasciate, sapientemente pilotate dallo Stato canaglia di turno, si sarebbero risolte con il lancio di uova, qualche bandiera bruciata e nulla più mentre oggi basta la presenza “esterna” di un commando ben addestrato ed armato per far sfociare manifestazioni altrimenti destinate ad esaurirsi in qualche gesto simbolico in vere e proprie azioni di guerriglia / combattimento urbano.
Le conseguenze del cambiamento in atto non vanno sottovalutate: le numerose rivolte che hanno interessato / stanno interessando il Nord Africa ed il Medio Oriente hanno avuto come sottoprodotto non preventivato dalla cancellerie occidentali la “creazione” di un ingente numero di individui dotati di una personale e diretta esperienza bellica (seppur in un contesto a bassa intensità e senza il ricorso a tecnologie avanzate), esperienza che se “applicata” alle masse facilmente infiammabili presenti nei medesimi Paesi rischia di formare una miscela potenzialmente esplosiva!
In buona sostanza lo scenario che si profila è il seguente: piccoli gruppi con discrete capacità operative (acquisite “in battaglia” oppure nei campi di addestramento “volanti” presenti ormai non più in Afghanistan ma anche in Cirenaica, al confine tra Egitto e Libia) che sfruttando particolari momenti di eccitazione popolare (o creandola artificialmente) si fanno carismatici capi popolo conducendo quest’ultimo ad azioni eclatanti ed altamente simboliche (qual è, in definitiva, l’assalto a Bengasi) ed inducendo all’emulazione i “fratelli” di tutto il mondo, i quali troveranno a loro volta guida ed appoggio presso i locali nuclei di miliziani. In altri termini la sfida del futuro è più o meno la seguente: attacchi locali che partono dal basso ma replicati su scala globale e per questo destinati a ricevere in primo luogo una sproporzionata eco mediatica ma anche qualche risultato operativo.
Per concludere sembra avverarsi quanto preconizzato in numerosi post precedenti: la Primavera Araba sta diventando, per l’Occidente, un autunno tanto più che una risposta militare realmente efficace a ben guardare non esiste (l’utilizzo di droni o l’invio di speciali reparti dei Marines mi pare più che altro una mossa fatta per mostrare al mondo che si fa qualcosa) ed il rischio di un mondo arabo / islamico esplicitamente anti-Occidentale sempre più concreto.
Una situazione dunque assai complicata dal punto di vista geo-politico e geo-militare, soprattutto per l’intera Europa mediterranea nel momento in cui, distolta l’attenzione dall’Eurotorre di Francoforte con annesse preoccupazioni finanziarie, volge lo sguardo alla sua sponda sud.