Crisi mondiale e necessità di nuovi assetti.

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<a href="http://www.flickr.com/photos/aljazeeraenglish/8049721755/" title="The Power to Protect... di Al Jazeera English, su Flickr"><img src="https://i0.wp.com/farm9.staticflickr.com/8450/8049721755_736cb6f2b3.jpg" width="500" height="333" alt="The Power to Protect..."></a>

The Power to Protect… di Al Jazeera English, su Flickr

Da una parte il Parlamento turco che autorizza (per un anno) il governo a condurre le operazioni militari ritenute più idonee a mantenere la sicurezza nazionale messa in pericolo dall’incancrenirsi della crisi siriana, dall’altra l’Iran che nel giro di pochi mesi potrebbe avere a disposizione il materiale fissile con il quale produrre il suo primo ordigno nucleare, da un’altra parte ancora la Cina che mette in servizio la Ljaoning, sua prima portaerei (indiscrezioni di stampa asseriscono che ulteriori tre siano già in cantiere) per ampliare le capacità della sua flotta d’altura scatenando una corsa al riarmo in Estremo Oriente, e da ultimo la Corea del Nord che afferma di essere in grado di colpire, verosimilmente con i suoi missili, lo stesso territorio continentale degli Stati Uniti (ma questa volta la notizia sembra davvero una boutade propagandistica).
Sono queste alcune delle notizie circolate sui principali media di tutto il mondo nelle ultime settimane: ma al di là della loro natura (vale a dire l’esplicito oppure il solo minacciato ricorso all’uso della forza) cos’è che accomuna tutte queste notizie? Esiste un filo conduttore sotterraneo che le lega?
A mio avviso sì: infatti senza lasciarsi fuorviare dalla distanza geografica dei vari focolai di crisi (ed ancora meno dalle diverse intensità delle crisi medesime!) guardando un po’ al di sotto di esse si nota come le cause vadano ascritte all’esigenza di trovare assetti più consoni ai nuovi rapporti di forza, assetti che talvolta implicano il ridisegnare quei confini tracciati dalle potenze vincitrici della II Guerra Mondiale.
Chiunque, guardando una carta geografica, può constatare come malgrado siano trascorsi oltre vent’anni dalla fine della Guerra Fredda solo l’area occupata dagli stati appartenenti all’ex Patto di Varsavia è stata oggetto, per evidenti motivi, di questa ridefinizione (eccezioni di rilievo la non allineata ex Yugoslavia in Europa, Timor Est in Asia e l’Eritrea in Africa – la Somalia la escludo perché di fatto la transizione non è ancora conclusa, n.d.r.).
La politica (o la guerra, che secondo la massima clausewitziana ne rappresenta il proseguimento con altri mezzi) in altri termini non è stata in grado di adoperare proficuamente il tempo a disposizione per “ammodernare” il mondo e la sua governance, necessità tanto più urgente alla luce delle profonde trasformazioni socio-economiche e tecnologiche che sono contestualmente avvenute.
Sembra dunque venuto il momento di fare i conti con i cambiamenti della Storia: la Turchia reclama un suo ruolo in un Medio Oriente fossilizzato in confini tracciati dai mandatari Francia e Regno Unito nonché dal sessantennale conflitto latente tra arabi ed israeliani; l’Iran parimenti aspira a diventare potenza regionale (e ad avere l’atomica come i vicini pakistani ed indiani); la Cina, secondo tutte le previsione destinata a breve a diventare prima economia mondiale, deve giocoforza cautelarsi assicurando la protezione delle vitali rotte commerciali per le sue merci in uscita verso l’Europa ed il nord America così come il regolare afflusso delle indispensabili materie prime dall’Africa e dal Golfo Arabico (di qui la necessità di una flotta d’altura con capacità di proiezione di forza anche se così facendo mette in allarme tutte le potenze dell’area, Giappone e Corea del Sud in primis); la Corea del Nord, in uno scacchiere del Pacifico in rapida mutazione, si trova a giocare una battaglia di retroguardia, autentico residuato della Guerra Fredda.
Tutto, dunque, sembra avere una sua spiegazione logica (la ridefinizione, appunto, dei valori in campo e di conseguenza delle zone di influenza e delle alleanze, se necessario anche ridisegnando i confini di Stati come più volte sottolineato in questo blog inventati a tavolino in epoca coloniale e poi “ratificati” nel 1945) anche se esiste una variabile indipendente di non poco conto: l’attuale stagnazione / depressione economica infatti potrebbe svolgere un ruolo di imprevedibile detonatore di crisi e conflitti o quanto meno attivare fenomeni per certi versi analoghi (anche se chi scrive è tra coloro che credono che, nonostante il famoso adagio, la Storia non si ripeta) a quanto avvenuto con la Grande Crisi degli Anni Trenta e che ha fatto da trait d’union a quella che il da poco defunto Eric Hobsbawm aveva suggestivamente definito la Guerra dei Trent’Anni del XX secolo cioè quel tragico periodo della storia contemporanea che va dal 1914 (ma perché no dalla Guerra di Libia del 1911-12?) al 1945.

Crisi siriana: il ritorno alla Guerra Fredda (e alla centralità del Mediterraneo)

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A LARGE OTTOMAN NAVIGATIONAL CHART OF THE MEDITERRANEAN COASTLINE, TURKEY, CIRCA 1600

A LARGE OTTOMAN NAVIGATIONAL CHART OF THE MEDITERRANEAN COASTLINE, TURKEY, CIRCA 1600 di OTTOMANPICTURE, su Flick

Potrà apparire cinico, considerando il tragico bilancio in termini di vite umane, ma la crisi siriana rappresenta per lo studioso di relazioni internazionali un interessantissimo caso di “ritorno al passato”: non si può infatti far a meno di notare come il “cristallizzarsi” delle posizioni sul campo (con il presidente Bashar al Assad che resiste e gli insorti del Free Syrian Army che non riescono a prevalere) rifletta lo stallo diplomatico al Consiglio di Sicurezza dell’ONU dove USA da una parte e Russia e Cina dall’altra non riescono a raggiungere un accordo. Un’impasse insomma, è stato fatto giustamente notare, degna dei migliori anni della Guerra Fredda.
Ma non è questo l’unico ritorno ad un passato che si credeva morto e sepolto: a prescindere ora dalle modalità con le quali si uscirà dalla crisi (ovviamente il ricorso alle armi si spera sia l’extrema ratio, per quanto vada altresì osservato che in Siria ora non è che regni la pace ed un intervento militare potrebbe anche apparire come il male minore) è il teatro operativo del Mediterraneo a recuperare una centralità che pure si credeva definitivamente perduta in favore delle profondità centro-asiatiche e dei mari orientali.
La riprova è l’affollamento aero-navale, vero o presunto, del Mediterraneo Orientale: la vicenda dell’abbattimento dell’F4 turco da parte della contraerea siriana ha portato alla luce (non che non si sapesse o quanto meno non si potesse intuire!) come nell’area siano operativi velivoli di almeno una mezza dozzina di nazioni: Stati Uniti, Regno Unito (che può contare sulle Sovereign Base Areas di Akrotiri e Dhekelia sull’isola di Cipro), Israele ed ovviamente Turchia, Siria, etc.
Non meno folta la componente navale: oltre a Stati Uniti, Regno Unito e a tutti gli stati rivieraschi, va aggiunta la presenza russa presso la base navale di Tartus e forse quella (annunciata dalle agenzie stampa ma successivamente smentita) persino di Cina ed Iran! Insomma, una situazione veramente di pericoloso affollamento con tutti che spiano tutti e, soprattutto, con il rischio sempre concreto di un qualche incidente che potrebbe fornire il definitivo casus belli (un po’ come l’abbattimento dell’F4 stava per diventare).
Ma quali sono le ragioni di questo ritorno in auge del Mare Nostrum?
Per capire ciò è utile fare un breve excursus storico di questo mare affiancandogli la fondamentale precisazione di come la centralità mediterranea sia cosa ben diversa dall’unità e che pertanto le due cose non vadano tra di loro confuse! La seconda infatti, accettando la tesi di Henry Pirenne, venne meno non tanto con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.), bensì quando gli arabi, straripando dalla Penisola Arabica ed invadendo nord Africa e parte della Penisola Iberica ed Italiana, interruppero i millenari rapporti (politici, culturali, economici, religiosi) tra sponda nord e sponda sud sancendo pertanto la fine del mondo antico; da quel momento in avanti il baricentro del potere politico-economico prese lentamente a spostarsi verso nord a discapito del Mare Nostrum il quale comunque mantenne, a mio avviso, la sua centralità ben oltre l’epoca delle grandi scoperte geografiche! Solo con il XVII secolo l’Atlantico ed in parte l’Oceano Indiano soppiantarono definitivamente (e forse mai in modo così perentorio come buona parte della storiografia vuol far credere) il Mediterraneo il quale, anzi, con l’apertura di Suez tornò nuovamente a ricoprire un’importanza strategica per le Grandi Potenze: Regno Unito, che desiderava proteggere a tutti i costi la nuova rotta veloce verso i suoi possedimenti orientali, la Russia, che complice l’arretramento dell’Impero Ottomano dopo secoli vedeva all’orizzonte il coronamento di uno sbocco oltre il Bosforo ed i Dardanelli, la Francia che ben prima dell’Italia aveva fatto dell’Africa settentrionale la sua Quarta sponda. In linea di massima tali esigenze strategiche rimasero valide fino alla II Guerra Mondiale, arricchendosi di ulteriori connotati durante la Guerra Fredda: infatti se è vero che ai fini della difesa dello spazio euro-americano fondamentali risultavano le linee di collegamento atlantiche, nel Mediterraneo correvano più linee di demarcazione che rendevano l’area tra le più critiche del globo: quella tra est ed ovest ma anche quella tra nord e sud del mondo in via di decolonizzazione (con l’ulteriore variabile di Paesi non allineati quali la Yugoslavia di Tito e l’Egitto di Nasser), quella tra cristiani e popolazioni arabo-mussulmane per finire con quella tra paesi importatori e paesi esportatori di petrolio e gas naturale. Tutto ciò basta a giustificare l’importanza accordata al Mediterraneo dalla Sesta Flotta USA da una parte e dalla Flotta del Mar Nero sovietica dall’altra, la quale aveva proprio in Tartus un importante punto di approdo / sostegno logistico nel Mediterraneo vero e proprio. Con la fine della Guerra Fredda e complice anche il venir meno delle capacità operative degli ex nemici si è assistito ad un progressivo venir meno dell’interesse per il Mediterraneo; se da una parte, e nonostante i ripetuti annunci di segno contrario, la Sesta Flotta è rimasta basata a Gaeta va anche detto che a quest’ultima è stato affidato (a parità di mezzi) il compito di tener sotto controllo pure il teatro africano, diluendone cioè l’effettiva forza. Tale decisione va inserita nel più generale processo di ridislocazione delle forze statunitensi e/o NATO su scala globale: nonostante le periodiche crisi che si sono succedute nell’area mediterranea (su tutte le guerre balcaniche), si è infatti assistito ad una riduzione delle basi europee ed ad un loro avanzamento verso est, vuoi per presidiare i paesi della “Nuova Europa” vuoi per rafforzare la presenza nei nuovi teatri mediorientali e centrasiatici.
Quest’ultimo riposizionamento offre una interessante chiave di lettura per interpretare le scelte passate ma anche le possibili evoluzioni future: infatti secondo importanti teorie geoeconomiche e geopolitiche il Mediterrano (o più correttamente alcune sue parti) manteneva una notevole importanza in quanto terminale ultimo di un complesso sistema di pipeline terrestri e sottomarine che dal mar Caspio, attraverso il Mar Nero, avrebbero dovuto terminare nel Mar Adriatico (si trattava del cosiddetto sistema dei Tre Mari) aggirando la Russia. Un progetto così faraonico richiedeva ingentissimi investimenti che andavano adeguatamente tutelati: di qui (anche) il motivo della presenza USA / Nato nei Balcani, in Georgia, in Azerbaijan, etc. Insomma, il Mediterraneo non più considerato come un bacino chiuso, ma come parte di uno spazio politico, economico e militare ben più vasto e nel quale dunque la dimensione navale non era di primaria importanza.
La crisi siriana solleva questioni geopolitiche e geoeconomiche per certi aspetti affini: il paese retto dagli Assad è infatti un importante produttore e terminale petrolifero, al punto che potremmo tranquillamente inserirlo, per analogia, in un più meridionale “sistema dei Tre Mari” (Mar Mediterraneo – Mar Rosso – Mar Arabico / Golfo Persico). Vi è però una differenza non trascurabile in questo scenario: qui la componente navale assume un’importanza ben maggiore quando non addirittura decisiva dal momento che deve essere assicurato il transito tanto delle petroliere (Hormuz, Aden) quanto quello delle enormi Ro-Ro portacontainer (Suez).
Insomma, per riprendere e chiudere il discorso portato avanti in questo lungo post, il mare Mediterraneo (ed in particolare quello Orientale, a sua volta inserito in ottica moderna all’interno di un insieme di bacini comunicanti) torna ad essere un elemento centrale della politica internazionale: non si tratta di un cambiamento di poco conto, cambiamento che dovrebbe far riflettere sulla miopia imperante a Bruxelles dove si persevera nel trascurare sistematicamente il “fronte Sud” dell’Unione, sarà perché rappresentato dai tanto denigrati PIGS (più Cipro, di cui spesso ci si dimentica).
Se al netto di tutto ciò possiamo ugualmente salutare con soddisfazione questo “ritorno”, ben altro ragionamento può essere fatto per quanto concerne l’unità! Constatiamo infatti ogni giorno di più come il portato della Primavera Araba sia l’instaurazione, nei paesi che ne sono stati attraversati, di governi non esattamente laici e/o moderati. Vedremo nei prossimi mesi se aperti almeno al dialogo.