110923 Sahel states appeal for counter-terror assistance | بلدان الساحل تطلب المساعدة لمواجهة الإرهاب | Les Etats du Sahel demandent une assistance dans la lutte contre le terrorisme

110923 Sahel states appeal for counter-terror assistance | بلدان الساحل تطلب المساعدة لمواجهة الإرهاب | Les Etats du Sahel demandent une assistance dans la lutte contre le terrorisme di Magharebia, su Flickr

A volte viene veramente da chiedersi in che mani affidiamo la nostra sicurezza: già perché sentire dire da un Ministro degli Affari Esteri (della nostra Repubblica purtroppo) che “la situazione è improvvisamente precipitata” quando anche un blog amatoriale come questo aveva ripetutamente messo in guardia sulla criticità della situazione sahariana e sulle conseguenti minacce poste alla sicurezza europea, fa veramente accapponare la pelle.
Non che all’estero le cose vadano meglio, intendiamoci: l’attacco francese è evidentemente stato pianificato in fretta e furia (non si giustifica altrimenti la mancata presenza sul campo di un numero adeguato di truppe, francesi o africane poco importa, necessarie a debellare le milizie islamiche finché “inchiodate” dai raid dell’aviazione) e ancora più assurdo è che Parigi, ma in generale l’Occidente, non abbia rafforzato / chiesto il rafforzamento delle misure di sicurezza di quei luoghi evidentemente a rischio, specie dopo gli espliciti avvisi ricevuti (il riferimento è ovviamente al campo petrolifero di In Amenas, dove stando agli ultimi lanci di agenzia il rapimento – secondo alcuni esperti però pianificato ben prima dell’attacco francese – è sfociato in massacro).
Purtroppo la realtà è che l’Europa, oggi come in Libia due anni orsono, continua a procedere in ordine sparso: basti pensare all’improvvida dichiarazione del ministro degli Esteri tedesco Westerwelle il quale aveva a caldo sentenziato che “serve una soluzione politica” quando da oramai un anno vi è un inviato ONU per il Sahel (Romano Prodi…) che evidentemente non ha raggiunto i risultati sperati, ma non li ha raggiunti verosimilmente non per demeriti propri ma assai più realisticamente perché, c’è da scommetterci, privo del necessario supporto da parte dei vari attori della vicenda (figurarsi ad esempio se la Francia si sogna di lasciare carta bianca in quello che era il suo ex impero coloniale, più probabile un patriottico ostruzionismo… e non a caso i piani prevedevano di dispiegare un forza ONU per l’autunno prossimo!!! Quando si dice rinviare ad calendam…)
Le analogie con la campagna sulla Libia del 2011 non si limitano alla sola improvvisazione politica: gli Stati Uniti proseguono sulla loro linea di appoggio a livello di intelligence (passando i dati raccolti dai loro satelliti, aerei spia, UAV, etc.), il Regno Unito ha praticamente da subito approvato l’azione francese ma stavolta garantendo il solo appoggio logistico, l’Italia, che pur è in prima fila sul confine sud dell’Europa e avrebbe tutto da guadagnare da una stabilizzazione di Libia ed Algeria, dalle quali importiamo rispettivamente petrolio e gas, ha cincischiato qualche giorno prima di decidersi ad offrire un sostegno addestrativo e logistico di bassissimo profilo, la Germania ancora una volta si è sottratta al suo ruolo di nazione guida dell’Europa.
Se queste sono le premesse, credere che le operazioni militari raggiungano risultati apprezzabili è quasi un atto di fede!
Infatti i miliziani (il cui numero è stimato dalle poche centinaia ad un paio di migliaia di unità) godono di alcuni vantaggi a mio parere essenziali: 1) mobilità, viaggiando a bordo delle caratteristiche “tecniche”, vale a dire pick up armati (vere e proprie “navi del deserto”) che trasportano il giusto di carburante, viveri e munizioni => 2) relativa indipendenza logistica, diversamente dalle truppe “occidentali” (l’aliquota di reparti speciali dovrebbe, a mio modo di vedere, essere la maggiore possibile) che al contrario operano lontano dalle proprie basi e si spostano soprattutto per via aerea 3) il fattore tempo: è probabile che, prima che sul campo sia presente un numero di soldati sufficiente da un lato a garantire il presidio delle città / villaggi riconquistati dall’altro a combattere concretamente il nemico, le milizie islamiche si siano sganciate riparando, sfruttando la citata mobilità ed approfittando della porosità dei confini, negli stati confinanti (Ciad, Algeria, Libia, Niger, Mauritania).
E’ dunque altamente probabile che le operazioni, se si vorrà veramente raggiungere un obiettivo duraturo, si estendano nel prossimo futuro anche al territorio di altri stati (si starebbe andando dunque verso una internazionalizzazione del conflitto), il che a sua volta avrà come effetti il richiamo al jihad di numerosi “arabi”, nuovi fermenti in seno agli stati dell’intera Africa settentrionale, il che potrebbe innescare un’ulteriore serie di reazioni a catena (nuovi flussi di immigrati, blocco delle estrazioni di gas e petrolio, etc.).
Insomma, la crisi africana rischia veramente di scindersi inestricabilmente con la crisi, tanto economica quanto politica, dell’Europa.