Mentre tutti gli occhi sono puntati sul Parlamento greco, chiamato ad accettare le condizioni poste dai Capi di Stato e di Governo nella maratona negoziale di domenica notte (condizioni peraltro complessivamente ben più dure rispetto a quelle respinte dal popolo greco per via referendaria non più di dieci giorni or sono, particolare che a mio modo di vedere rende l’approvazione tutt’altro che scontata), voglio spostare l’attenzione su un aspetto della vicenda che personalmente mi lascia basito: si dà infatti il caso che in tutto questo parlare di debiti, di miliardi di euro, di Bancomat presi d’assalto, di piani di rientro, etc. non si è praticamente mai affrontato (intendo dire sui media mainstream, ai quali si rivolge il grande pubblico, un po’ meglio sono andate le cose nelle riviste di settore ma anche qui non è che ci si è sprecati più di tanto!) il tema dei costi, in termini geopolitici e geostrategici, derivanti dall’eventuale avverarsi dell’opzione Grexit.
In effetti, posto che l’uscita dall’euro non significa un’uscita dall’Unione Europea (né tanto meno dalla NATO, della quale la Grecia è membro sin dal lontano 1952), inutile dire che, vedendo Atene venir meno lo spirito solidaristico che dovrebbe essere alla base dell’Unione, la possibilità che il governo ellenico (indipendentemente dal suo “colore”) vada a cercare aiuto altrove è tutt’altro che remota.
In particolare il pericolo, purtroppo mai evocato con sufficiente chiarezza, era (è) che la politica scarsamente lungimirante della Germania potesse (possa) spingere la Grecia nelle braccia della Russia, la quale sarebbe prestatrice tutt’altro che disinteressata di quei soldi vitali ad Atene per evitare il collasso (per Mosca si tratterebbe di un bis, dopo che già all’epoca della crisi del debito cipriota il Cremlino aveva aperto il portafogli assicurando a Nicosia un sostanzioso prestito ponte), con tutto ciò che ne potrebbe conseguire per gli equilibri complessivi dell’UE.
Basta infatti dare un rapido sguardo alla carta geografica per capire come la Grecia, stante l’attuale inaffidabilità della Turchia (altro storico partner NATO che per un complesso ed interconnesso insieme di fattori – quali lo scontro tra componente laica ed islamica, il rinnovarsi delle istanze indipendentiste da parte della minoranza curda alla luce dei successi ottenuti sul campo nella lotta anti-ISIS, con quest’ultimo a fungere da ulteriore fattore di crisi – potrebbe andare incontro ad una forte instabilità), rappresenti un avamposto imprescindibile tanto nel Mediterraneo orientale (qui proprio insieme alla succitata Cipro) quanto nei Balcani.
Per quanto riguarda il primo teatro, Creta potenzialmente potrebbe divenire l’ideale base logistica per eventuali operazioni contro l’emirato di Derna (per intenderci Gaudo, isola poco a sud di Creta nonché estremo lembo meridionale dell’UE, dista dalla città libica circa 270 km) nonché, assieme a Cipro, per eventuali azioni – non necessariamente belliche – in Siria (ricordo a riguardo che a Cipro si trova la base RAF di Akrotiri e che sempre su quest’isola si svolgono parte delle operazioni di smantellamento dell’arsenale chimico siriano). Similmente la “fuoriuscita” di Atene e l’entrata nell’orbita di Mosca creerebbe non pochi grattacapi nei Balcani: alla faccia di decenni di presenza di truppe occidentali (sotto le varie bandiere di ONU / NATO / UE), si verrebbe infatti a costituire un “nucleo” cristiano-ortodosso sufficientemente omogeneo e, in quanto tale, capace di avviare dinamiche destabilizzanti per l’intera area soprattutto qualora dovessero prevalere le sempre presenti ale oltranziste (in particolare penso alle possibili tensioni con le minoranze islamiche dell’area ma anche con la Turchia stessa)
Le preoccupazioni non mancano ragionando su scala continentale: l’uscita di Atene (sempre ponendosi nell’ipotesi che quest’ultima finisca nelle braccia di Mosca, n.d.r.) indebolirebbe sostanzialmente l’intero fianco sud dell’Unione, la quale si verrebbe a trovare pericolosamente sbilanciata a Nord, con gli stati baltici che si infilano per centinaia di km in territorio russo (peraltro con l’exclave di Kaliningrad alle spalle) mentre a sud molti territori e talvolta interi Stati potrebbero per l’appunto finire, direttamente od indirettamente, nella sfera d’influenza russa: parte dell’Ucraina (altro Stato i cui conti sono tutt’altro che floridi), la Transnistria, la Serbia ed ora appunto la Grecia (si costituirebbe in tal modo quel polo cristiano-ortodosso a suo tempo preconizzato da Samuel Huntington!).
Per quanto questi possano essere considerati giochi “da tavolino”, appare a mio modo di vedere evidente che c’è bisogno di una strategia europea e che essa sia veramente condivisa; purtroppo, temo, il “peccato originale”, a volerlo chiamare così, è già stato commesso allorquando, nel momento in cui si doveva elaborare la “costituzione europea”, non si è stati capaci di dare a questa costruzione interstatuale e superstatuale chiamata Unione Europea il necessario contenuto “ideale” e “fondante”; all’epoca ci si accapigliò sulle (innegabili peraltro) radici giudaico-cristiane dell’Europa e non si pervenne a nulla con il risultato che ci è rimasto, come unico collante, il “mercato”.
Ciò ha equivalso a consegnare la leadership alla Germania, indiscussa ed indiscutibile potenza economico-finanziaria del Continente; peccato che nel momento in cui ad imperare sono le leggi dell’economia, quel che importa sono “i conti” ed ogni spirito solidaristico viene meno, tanto più che la dottrina economica seguita da Berlino è quella del rigore più assoluto (nella fallace convinzione che la ricetta che funziona per un paese sia buona anche per tutti gli altri…).
Pertanto, vista da questa prospettiva, l’ipotesi di uscita della Grecia, alla quale dobbiamo l’invenzione stessa del concetto stesso di Europa, non rappresenterebbe anche simbolicamente la fine di questa Unione Europea senz’anima?